Il Blog di Stefano Re

The killing of a sacred deer (2017)

di Yorgos Lanthimos

con Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan

L’accoppiata Lanthimos – Farrell aveva già lasciato un segno con Lobster, e torna qui a colpire lo spettatore con tutto il suo potere di evocazione, simbolismo e humor nero. Ritroviamo i dialoghi monotoni, non nei contenuti ma proprio nel tono. Ritroviamo l’ipocrisia, il tentativo costante di sfuggire alle proprie responsabilità, ma qui si tratta di un individuo e non di un gruppo, non della società. Si tratta di un chirurgo, precisamente di un cardiochirurgo, e del distacco abissale tra le sue debolezze, le sue colpe, e l’immagine semidivina di se stesso che coltiva e dentro cui pretende di vivere. Un’immagine che viene demolita pezzo per pezzo da un elemento esterno al mondo trionfante, scintillante di logica e scienza dentro e dietro cui nasconde le proprie fallacie. Un elemento che vive e impone regole differenti, regole antiche e non negoziabili, un’idea di giustizia profonda e spietata. E in un crescente senso di incubo lo spettatore accompagna il chirurgo-dio, improvvisamente essere umano e vulnerabile, disarmato davanti al profetico dilemma, all’occhio per occhio, al necessario sacrificio riparatore, destinato ad affrontare il lutto incombente e sperimentarne nel cuore le fasi: negazione, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione. Un film esasperante, spietato e nerissimo. Guardarlo è una sofferenza, ma ne vale la pena.

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