il Mercato della Salute

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Categoria:  Articolo

6 Dicembre 2019

Un paziente di 88 anni, già sottoposto a interventi molto pesanti, e un’infermiera che cambia diversi aghi perché le vene del braccio del paziente sono ormai talmente deboli da non reggere nemmeno la flebo. Al terzo cambio, l’infermiera sbuffa stizzita: «certo che con queste vene se ne sprecano di aghi». Succede in un ospedale della rinomata ed efficientissima sanità lombarda.

Partirei da questo piccolo, apparentemente insignificante episodio, per ragionare su che cosa proprio non sta andando per il verso giusto nella sanità italiana, e forse non solo nella sanità. Ma che cos’è la sanità? Come mai esiste un Servizio Sanitario Nazionale? Non scomoderò qui né la Costituzione né la legge 833 del 1978, voglio restare sul semplice: il SSN esiste per fornire assistenza in materia di salute a tutti – punto. Esiste perché i nostri nonni hanno deciso che era giusto garantire a tutti, per quanto possibile, ogni forma di assistenza sanitaria. L’inefficienza della gestione pubblica ha agevolato la svolta recente verso la privatizzazione dell’assistenza sanitaria, nella forma specifica delle “convenzioni”. Che significa di preciso? Che ospedali, cliniche, ambulatori possono essere enti privati, gestiti da privati e dunque con scopo di lucro, ma i loro servizi ai cittadini vengono convenzionati, cioè pagati in gran parte dal SSN. In linea con questa trasformazione, le Unità Sanitarie Locali (USL) sono diventate Aziende Sanitarie Locali (ASL).

Il risultato è che anche se a parole il paziente e la salute sono il centro di tutto, nei fatti il paziente e la salute sono diventati soltanto voci di bilancio, insieme ai disinfettanti, ai pezzi di ricambio, alle barelle, alle sacche per trasfusioni e agli aghi. Ecco perché un’infermiera arriva a dire che queste vene fanno sprecare troppi aghi – perché il malato non conta più un cazzo: è solo una voce di bilancio. Utile quando occupa un posto letto che viene messo tra le voci in attivo, scomodo quando “fa sprecare” aghi e ore lavoro perché ha le vene talmente distrutte dalla chemioterapia da non tenere nemmeno gli aghi di una flebo.

Quel che non funziona più, nella sanità e in particolare nella mente di quell’infermiera, è che quegli aghi esistono PER le vene, NON viceversa. Quelle ore lavoro sono destinate ad aver cura di quelle vene, non ad altro. E né gli aghi né il tempo che l’infermiera deve usare per cambiare tanti aghi sono “sprecati”: vengono giustamente usati per quelle vene, perché la sanità esiste per curare il proprietario di quelle vene, non per far quadrare bilanci in positivo.

Un tempo il medico studiava l’essere umano, e cercava metodi per lenire le sue sofferenze e curare le sue malattie. Ma tutto iniziava e terminava con l’essere umano: le cure, i trattamenti, erano basati sul paziente, tagliati a sua misura. Prima c’era il paziente, poi veniva la cura. Oggi è esattamente l’opposto. La medicina oggi è diventata una teoria, una dottrina che si studia sui libri e poi si applica alle persone. Prima c’è la cura, così come viene insegnata e studiata e applicata ciecamente, poi c’è anche il paziente, quel capriccioso strano soggetto che talvolta reagisce bene e altre volte, ignorante com’è, reagisce male, facendo perder tempo e creando problemi. E quando qualcosa va davvero storto, che sia una vena che si rompe a un anziano o un bimbo che ha una reazione avversa a un farmaco o un paziente che crepa per shock anafilattico, la colpa viene data all’essere umano, che non ha reagito come doveva. Come se fosse l’essere umano a doversi adattare ai trattamenti medici e non viceversa. Come se fosse l’essere umano una funzione dei trattamenti medici, e non viceversa.

Se vogliamo ritornare a un mondo in cui l’essere umano conti qualcosa, dobbiamo riportarlo al centro delle nostre attività, invece lo stiamo rendendo uno strumento, una voce dell’elenco. Ma tornare al centro per davvero, non a parole, nel titolo di una brossura o di un bello schema a raggiera tutto colorato da mostrare nel comunicato stampa. Perché questo è ciò che stiamo facendo: stiamo trasformando l’essere umano in uno strumento, in un bene di consumo, da usare per riempire copertine e giustificare qualsiasi scelta o decisione. Non soltanto nella sanità, anche se in quell’ambito è particolarmente evidente. Succede esattamente la stessa cosa in mille altri contesti. Pensate all’immigrazione: tante parole altisonanti sull’essere umano, quando è di colore e arriva su un gommone, ma soltanto per il tempo necessario a far vendere giornali, aprire servizi televisivi coinvolgenti, far donare qualche euro per qualche poco chiara associazione umanitaria, diventare ostaggio di qualche proclama politico – come minaccia o come risorsa, è identico – per poi sbarcare da quel gommone e finire nei campi a fare da schiavo alla mafia. Subito dopo scompare dalle copertine, dai dialoghi e dalle menti di tutti questi paladini dell’essere umano, perché semplicemente non serve più.

Proviamoci davvero a riportare l’essere umano al centro delle cose, anzitutto nelle nostre menti, ma anche, concretamente, nelle strutture sociali. Fermiamo questo processo folle che vede le strutture, siano esse economiche, politiche, sanitarie, come rigide prigioni dentro cui gli esseri umani devono adattarsi, quando invece sono loro, sono queste strutture, queste regole, a doversi adattare a noi. E se pensi che l’efficienza valga questo piccolo scotto, l’ottimizzazione dei servizi sia del tutto prioritaria, riflettici bene. Perché, vedi, quelli che ci restano stritolati, a turno, casualmente ma sul lungo termine quasi inevitabilmente, siamo noi, tutti noi. È tuo padre. Sei tu. Presto o tardi, quelli con le vene distrutte dalla chemio a venir considerati “non conformi”, perdite di tempo e risorse, fastidiose cacchette di piccione sulla lustra carrozzeria della splendida ed efficientissima Sanità Aziendalizzata, siamo tutti noi. È tuo padre. Sei tu.


Pubblicato su » DolceVitaMagazine

Stefano Re
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