Z for Zachariah
Categoria: Recensione
21 Giugno 2022
(Recensione scritta a marzo 2018)
Anzitutto un avvertimento: come spesso avviene nelle mie recensioni, di seguito si analizza ed interpreta la trama fin nei dettagli. Chi non avesse visto il film e intenda farlo è caldamente invitato a tornare qui dopo la visione, se non vuole rovinarsi il piacere di affrontare il film “da solo”.
Vedo almeno due livelli di lettura di questo film, che rispecchiano poi gli approcci esistenziali dei protagonisti principali. Un primo livello è quello razionale, logico e scientifico, ed è tale da far considerare il film un interessante approfondimento sulla psicologia umana, sul rapporto tra fede e scienza, tra passioni e razionalità, e nel complesso un lavoro di spessore e di qualità. Il secondo è un approccio fideistico, mistico, religioso e simbolico, ed è talmente bruciante da aver tenuto sveglio un ateo come me tutta la notte per le dolorose implicazioni sulle vulnerabilità umane che mette a fuoco.
Partiamo dall’approccio razionale: abbiamo un mondo rovinato da una qualche catastrofe, probabilmente provocata dall’uomo, che ha lasciato il pianeta avvelenato dalle radiazioni e dunque sostanzialmente inabitabile. Di questo mondo rovinato e deserto non viene mostrato che qualche ambiente dismesso, le rovine di qualche edificio abbandonato, nei primissimi minuti del film. Tutto il resto si svolge invece in un angolo di mondo rimasto miracolosamente illeso, una vallata risparmiata dal fallout radioattivo per qualche non meglio precisata anomalia climatica. Qui incontriamo Ann Burden (Margot Robbie), giovane (e molto bella, che non guasta) contadina che gestisce la sua fattoria con la sola compagnia del suo cane da quando suo padre, un pastore, e poi suo fratellino di 14 anni, sono usciti dalla vallata in cerca di “sopravvissuti da aiutare”, per non fare più ritorno. Si noti, en passant che “Burden”, il cognome di Ann, significa “onere, fardello”.
In questa valle lussureggiante giunge ben presto un altro sopravvissuto, John Loomis (Chiwetel Ejiofor), uno scienziato di colore uscito da un bunker governativo, che vaga protetto da una tuta sperimentale anti-radiazioni in cerca di un posto come quella vallata, “senza sperare per un attimo che potesse esistere”.
I rapporti si sviluppano evidenziando una profonda distinzione esistenziale che separa i due: Loomis è ateo e ripone la sua fiducia nella razionalità, mentre Ann nutre profonde credenze religiose, e ritiene che la sopravvivenza della vallata, la propria e quella di Loomis, siano tutte opera di un disegno divino. Questa distinzione crea i primi problemi quando Loomis progetta un mulino ad acqua, da costruire proprio sotto la cascata radioattiva, per attivare un generatore il cui motore è bruciato. Per poter edificare questo mulino occorrono infatti assi di legno, e l’unico edificio sacrificabile per ottenerle è la piccola cappella costruita dal padre di Ann, in cui egli predicava ed in cui Ann stessa si reca giornalmente a suonare inni all’organo. Per Ann, demolire la cappella rappresenta al tempo stesso una dolorosa offesa alla memoria di suo padre e alla benevolenza e protezione di Dio stesso. Appurato questo, per evitare ad Ann un simile disagio, Loomis decide di rinviare a data imprecisata la costruzione del mulino.
La convivenza tra i due si articola in turni di lavoro alla fattoria e un crescendo di inevitabile reciproco interesse. Dopotutto, sono un uomo e una donna, rimasti forse soli sull’intero pianeta. Anche nel loro avvicinamento però, emergono prospettive divergenti. Ann si rende disponibile, al punto da spogliarsi di fronte a lui, in una evidente forma di “servizio” più che di passione. Loomis dal canto suo mostra di trovare attraente la ragazza, ma rinvia nel tempo la possibilità di rapporti sessuali, adducendo la motivazione che “cambierebbero le cose” e dunque ritenendo che gli sviluppi nella relazione necessitino di tempo.
È interessante osservare come Loomis adduca motivazioni positive e comprensibili al suo rinvio, ma la sua incertezza derivi in effetti da un motivo più oscuro, che emerge infine quando confessa di aver ucciso, prima di giungere nella vallata, il fratello minore di Ann, forse per legittima difesa, forse su disperata richiesta del ragazzino stesso, ormai morente per le radiazioni. Il rimorso che tormenta Loomis è il vero motivo della sua riluttanza sessuale verso Ann.
In questo quadro, l’arrivo di Caleb non può che fungere da detonatore di un disastro. Consideriamo anche solo questi elementi: Caleb ha in comune con Ann tutte le carte: è bianco, giovane, credente e campagnolo, oltre che bello. E, come scopriamo in breve tempo, è anche piuttosto abile a manipolare le persone, arrogante e in definitiva uno stronzo. Si apparta prima con Loomis e poi con Ann, da entrambi raccoglie informazioni. Da Loomis apprende del progetto del mulino e della chiesetta cui Ann è affezionata, dalla ragazza apprende le incomprensioni in ambito religioso. Quindi, Caleb usa quanto appreso per svilire Loomis agli occhi della ragazza, ad esempio sottolineando come Loomis abbia usato la violenza per sopravvivere, ma anche forzando Ann ad accettare lo smantellamento della cappella paterna in favore del progetto del mulino, sfruttando le ingenuità e vulnerabilità di Ann per sedurla e al tempo stesso provocando la gelosia di Loomis in modo progressivamente più evidente. L’epilogo, piuttosto prevedibile, vede un confronto tra Loomis e Caleb, la scomparsa di Caleb e l’intrico doloroso di sensi di colpa e sospetti in cui restano infine intrappolati Ann e Loomis.
Da un punto di vista meramente razionale, questa narrazione offre non pochi spunti di riflessione e approfondimento sulla natura umana, sulle passioni e sui rapporti tra fede e scienza. A partire dall’evidente metafora per cui, anche mettendoci le migliori intenzioni, gli esseri umani sono immancabilmente soggetti alle proprie passioni, e nessun paradiso terrestre è al sicuro da esse.
Ritengo però inevitabile, per motivi che saranno presto elencati, considerare una lettura ben diversa oltre a quella meramente razionale, e precisamente una lettura mistico – simbolica, che rende la narrazione di questo film e molti suoi dettagli tremendamente più inquietanti.
Partiamo dalla fine: osservando con essenziale razionalità i comportamenti attuati da Caleb, è facile concludere che questi sia fondamentalmente uno stronzo. Si insinua nell’equilibrio instabile dei due sopravvissuti, raccoglie da loro informazioni e le usa in modo distruttivo, manipola l’emotività di entrambi inducendoli a comportamenti fonte di enormi disagi, tanto al presente quanto in prospettiva. Ma l’essere uno stronzo manipolatore non giustifica in alcun modo ciò che viene mostrato nella scena sul ciglio roccioso. Abbiamo infatti questo manipolatore arrogante, che ha fomentato Loomis facendo leva in ogni modo sulla sua gelosia, mettere letteralmente la propria vita nelle mani dell’uomo che sta provocando. Come spiegare il fatto che Caleb accetti di calarsi in un precipizio, sopra una pozza di acqua radioattiva, lasciando nelle mani di Loomis la fune che lo sorregge? Se anche questo comportamento assurdo volesse venir interpretato come un estremo segno di arroganza, come spiegare il ghigno palesemente soddisfatto che esibisce proprio nel momento cruciale, quando Loomis sta evidentemente considerando la possibilità di lasciarlo cadere? No: quell’espressione non è considerabile frutto di arroganza. Si tratta chiaramente di una espressione di soddisfazione. Una profonda e chiaramente malefica soddisfazione. Dunque, se Caleb trova tanto soddisfacente indurre Loomis a considerare la possibilità di ucciderlo, chi è veramente Caleb, quale era il suo reale scopo?
Qui mi sono trovato, mio malgrado, a dover considerare una chiave di lettura assai differente, che fatico a considerare “mia” ma che trovo assolutamente, precisamente e dolorosamente calzante ad ogni singolo dettaglio dell’intero film: una lettura religiosa, mistica e simbolica.
Anzitutto, il contesto. Una valle rimasta inspiegabilmente viva in un pianeta morto e desolato. Non trovo migliore definizione dell’Eden: letteralmente, il paradiso in terra. Al suo interno abbiamo una donna, ingenua e di animo buono, credente e positiva, che accetta il messaggio divino anche senza comprenderlo, ed ha già subito la perdita dei suoi cari senza perdere la propria fede. Poi arriva un uomo, un uomo di scienza e sapienza, che non condivide la fede ma è capace di frenare i suoi desideri per rispetto, tolleranza, comprensione e amore. È già degno di nota che l’incontro tra i due avvenga quando Loomis si immerge in una pozza d’acqua che però proviene dall’esterno della valle, ed è dunque mortalmente radioattiva, e Ann corra in suo soccorso, avvisandolo del pericolo, per poi ricoverarlo e accudirlo per giorni (settimane?) salvandogli la vita. L’acqua avvelenata rappresenta il male che domina il mondo fuori della valle e che tenta, senza successo ma costantemente, di invaderla e di inquinarla.
Nello sviluppo dei personaggi, Ann viene dipinta persino fin troppo ingenua e remissiva, Loomies dal canto suo appare paternalistico e condiscendente. La scena in cui Loomis si sbronza evidenzia le tensioni reali che covano sotto questa relazione fin troppo “solare”. Nel complesso i due vengono introdotti con le proprie debolezze, ma fondamentalmente come persone “buone” le cui volontà reciproche appaiono mosse da rispetto, attenzione, sensibilità, e proiettate verso qualcosa di migliore e più completo: essenzialmente, una promessa d’amore.
Come entra in scena Caleb? Abbiamo visto come sia Ann che Loomis indossino ingombranti e massicce protezioni per poter sopravvivere all’esterno della valle. Il breve bagno nella pozza radioattiva quasi uccide Loomis, che necessita di settimane di medicinali, cure e riposo prima di potersi anche solo alzare in piedi. Caleb invece arriva nella valle in maglietta, zaino e jeans. La storia che racconta, di esser sopravvissuto dentro una miniera e in seguito nascostosi in una grotta, fa acqua da tutte le parti. Per quale ragione avrebbe dovuto esservi cibo per mesi di sostentamento di diversi uomini dentro una miniera? E come avrebbe potuto sopravvivere senza alcuna protezione una volta uscito? Loomis rileva un lieve grado di radiazioni addosso al ragazzo, ma nulla di davvero pericoloso tanto da concludere che a riprendersi basterebbero “un paio di giorni di riposo”. Tutto questo rende assai dubbie ed inverosimili le spiegazioni fornite.
Avvisaglie di una presenza inquietante vengono peraltro suggerite allo spettatore con largo anticipo. Diversi giorni prima dell’arrivo “ufficiale” di Caleb, Ann intravede una figura attraverso i vetri della cappella mentre suona l’organo, quando ne parla con Loomis, lui le assicura che si trovava altrove; le uova delle galline spariscono; il cane abbaia alla porta nelle ore notturne. Sono tutti segni che Caleb era già lì, intento ad osservare i due sopravvissuti e decidere quando e in che forma manifestarsi a loro.
Non a caso, Ann viene attratta a “trovare” Caleb controllando le sue trappole per la selvaggina. Cade in trappola mentre pensa di stare gestendo le trappole. L’inversione dei fattori è una costante nelle modalità di interazione che Caleb impone, in modo più o meno esplicito, agli altri protagonisti.
Dal momento stesso in cui inizia ad interagire, Caleb mente e manipola gli altri personaggi. Li induce a scelte che non sono certi di volere, li induce all’errore. Afferma dapprima di voler proseguire per raggiungere una città al sud, Anson, dove ha sentito, non si sa bene come, di una colonia di sopravvissuti. Induce dunque Loomis a convincerlo a restare, facendo leva sulla chiara capacità razionale dell’uomo, che assume decisioni quanto logiche possibile, a scapito delle proprie sensazioni ed emozioni, anche qui usando l’inversione dei ruoli come metodo dialettico. Allo stesso modo induce Loomis a confessare l’incontro con il fratellino di Ann, e di seguito la sua uccisione, ma lo fa giustificando l’atto. Eppure proprio le giustificazioni pronunciate suonano incapaci di colmare la colpa e il rimorso provati da Loomis e la ferita nei sentimenti di Ann, che sono il vero obbiettivo dell’intera operazione.
Induce Ann a accettare lo smantellamento della chiesetta in favore del mulino. Così facendo produce sensi di colpa reciproci e li distanzia l’uno dall’altro. Allontana Ann da Loomis sfruttando la mancanza di fede dello scienziato, la approccia con i più scontati trucchi da manuale, alternando ostentata indifferenza a sguardi carichi di sottintesi, sfruttando la sua solitudine, la sua necessità di trovare qualcuno che apprezzi la sua “fede”, il suo evidente desiderio sessuale scatenato e frustrato dalla rispettosa e travagliata “resistenza” di Loomis.
Infine la porta a concedersi con il più classico dei cliché, al culmine di una serata di festeggiamenti alcolici. Sedotta Ann, istiga Loomis a sentirne la “perdita” sia fisica che emotiva con gesti misurati e simbolici, ad esempio carezzandone i capelli in sua presenza il mattino successivo, e provoca la sua gelosia con battute che sembrano (ma non sono per nulla) casuali, esibendo una leggerezza studiata ad arte.
Se dunque Caleb voleva sedurre Ann, o più precisamente indurla a concedersi, cosa vuole da Loomis? La risposta è evidente nel ghigno di soddisfazione malevola con cui si accomiata dallo spettatore: voleva indurlo ad uccidere a sangue freddo. In questa luce, diventa chiaro anche quanto “casuale” sia stato quel doppio scivolone di Caleb sul ciglio della cascata. Se si presta attenzione, l’espressione del giovane mentre Loomis lo sta tirando in salvo dal primo scivolone non è affatto quella spaventata di un uomo che rischia di morire, è invece un’espressione assorta e forse di disappunto, quella di chi aspettava qualcosa che ancora non è arrivata. Ed è proprio il pensiero di uccidere, di lasciarlo cadere, pur tormentato dal senso di colpa, in lotta con la volontà di restare una persona eticamente rispettabile, ciò che Caleb coi suoi comportamenti aveva coltivato, provocato e infine attendeva di veder emergere in Loomis.
Immagino a questo punto risulti una conferma quasi superflua notare come in una scena si veda proprio Caleb impegnato con soddisfazione a raddrizzare la croce sul tetto della cappella, mentre la stanno demolendo: ennesima conferma della falsità nelle sue azioni, del suo costante invertire i fattori nelle interazioni.
Caleb è, chiaramente, l’ingannatore – il serpente che entra nell’eden per corromperlo.
E lo fa nel modo più malvagio, completo e subdolo che si possa immaginare in quel contesto. Corrompe Ann sfruttando proprio la sua fede, la sua ingenuità, i suoi desideri. La corrompe nel corpo e nel cuore, prima inducendola a darsi – atti impuri – e poi spezzandole il cuore, scomparendo. La corrompe anche convincendola ad accettare lo smantellamento della cappella, in spregio del ricordo del padre, della sua -pur ingenua – fede. E la corrompe lasciandole in eredità il senso di colpa per aver “tradito” l’amore e il rispettoso “attendere” di Loomis.
Dall’altro lato, Caleb corrompe anche in Loomis tutto ciò che poteva corrompere. Non solo lo tormenta provocando la sua gelosia, ma lo svilisce costantemente, prima mettendolo in pessima luce agli occhi di Ann, poi usando il suo progetto del mulino per portare la ragazza a “rinnegare” come appena descritto la propria fede, e infine lo induce a uccidere a sangue freddo, ben sapendo quanto questo lo avrebbe distrutto in seguito. Infatti già l’omicidio del fratellino di Ann (stando alla descrizione un caso di “mercy killing”) lo aveva tormentato per mesi, impedendogli persino di accettare le offerte sessuali della ragazza.
Inoltre, è evidente che Loomis non potrà nemmeno cercare consolazione e perdono confessando ad Ann questo ultimo omicidio. Come potrebbe confessarle di aver ucciso, oltre che suo fratellino, anche l’uomo di cui si era innamorata? Al tempo stesso, è da subito evidente che Ann intuisce cosa è accaduto, e sia lei che Loomis restano prigionieri di incolmabili sensi di colpa e rimorsi per le proprie azioni, prigionieri di un dialogo impossibile, il loro futuro avvelenato.
Non bastasse la perfidia di tutto questo, il ghigno finale di Caleb, ricolmo di consapevolezza e trionfo, è rivolto direttamente, apertamente a Loomis. Perché? Perché Caleb sa che Loomis, come ateo, non potrà mai accettare l’idea di essere stato indotto alla corruzione da un essere demoniaco, neppure mostrandogli il proprio volto e scopo in modo del tutto palese. Al tempo stesso, sa che Loomis è una persona perspicace e intelligente, non potrà sfuggire da quel ricordo e verrà avvelenato dal dubbio, e in questo il trionfo del male risulta ancora più completo.
In pochi giorni, dosando le sue mosse con estrema sapienza e perfidia, Caleb distrugge ogni traccia residua di innocenza in Ann, in Loomis, nel loro rapporto, e nel corso dell’opera li induce a partecipare insieme alla demolizione della chiesa, cancellando dalla vallata così anche il simbolo stesso di salvezza.
“A come Adamo”, il primo uomo, titolo di un libro che Loomis trova in casa di Ann, offre la spiegazione del titolo del film, in cui “Z come Zaccaria” rappresenta specularmente l’ultimo uomo. Nel più completo ritratto simmetrico della Genesi, questo film descrive in forma simbolica la corruzione totale dell’ultimo Eden e degli ultimi due esseri umani della storia.
Stefano Re © 2018
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