La desolazione del Debunker
Categoria: Articolo
30 Maggio 2020
articolo pubblicato il 12 agosto 2017
C’è chi crea pensiero.
Sono solo persone che ragionano, ma li chiamano geni.
C’è chi a creare pensiero non ci arriva, e si concentra nel divulgarlo.
Li chiamano maestri.
C’è chi pensiero non sa crearne, non ha le capacità per divulgare, e si dedica a studiarlo.
Li chiamano sapienti.
C’è chi non sa creare, non sa divulgare e non ce la fa nemmeno a studiare, e tutto quel che riesce a fare è leggere dei bigini.
Li chiamano persone che si informano.
C’è chi non sa creare, non sa divulgare, non riesce a studiare e manco i bigini.
Gli tocca guardare la TV o leggere i giornali, e poi ripetere. Sono i credenti.
C’è chi creare manco per, divulgare figurarsi, studiare che sarà, bigini troppo sbatti ma prova tanta invidia, e si dedica a prendere per il culo i credenti.
Si chiamano troll.
Infine, c’è chi nemmeno possiede il coraggio per prendere in giro in diretta, riesce a farlo solo in differita, rubacchiando idee ad altri. Insomma: un troll fallito, e si chiama debunker.
Ho più volte scritto che considero i debunker professionisti un gradino sotto i sadici pedofili nella mia scala etica. In questa nota chiarisco perché queste figure mi facciano così tanta pena.
Si fa in quattro per dimostrare l’insostenibilità di ogni teoria divergente dalla norma e dall’ufficialità, ma non si azzarda a sottolineare nemmeno la bugia più enorme sparata da figure istituzionali o di autorità. L’unico caso in cui lo faccia è quando c’è una lotta di potere e una delle figure di autorità sta perdendo: è quella che il debunker si affretta ad azzannare, da bravo sciacallo ammaestrato. Quando al contrario un individuo o un gruppo emerge e assume potere sociale e politico (si veda il trattamento riservato al M5S e ai suoi rappresentanti, tanto maltrattati finché pareva improbabile stabilissero una forma di potere, adesso sempre più guardati con ammirazione) i debunker si affrettano a moderare i toni, fare la cuccia ai piedi del nuovo padrone e cercare vittime più deboli da perseguitare. Nemmeno sanno esser fedeli ai loro padroni fino alla fine: appena sentono la nave rollare in acque incerte, sono già sulle scialuppe, più veloci di Schettino.
Questo è uno dei punti che maggiormente trovo disprezzabili: non pensano niente. Usano nozioni altrui di cui spesso nemmeno capiscono niente per sbugiardare affermazioni di altre persone. Si imbattono in teorie (ovviamente di minoranza) mediamente considerate comiche, incongrue, assurde e cercano – altrove – elementi e ragionamenti per smontarle. Pensassero con la loro testa perlomeno, mettessero se stessi sul tavolo, con le proprie capacità e i propri limiti, discutendo alla pari. Col cazzo: rubacchiano in giro quel che poi presentano come fosse “verità certificata”, oltretutto spesso riportando errori madornali, e impacchettano tutto presentando orgogliosi al mondo il loro collage di informazioni riciclate: “ecco, vi dimostro che quello è un coglione!”
In pratica il debunker non ha nulla di proprio da affermare. È privo di anche un’ombra di originalità ma abbastanza sveglio da percepire incongruenze in affermazioni altrui, e vive della speranza di diventare meno trasparente sbugiardando chi pensa non sia in condizioni di potergli rendere il favore. Funzionalmente è identico a quegli sfigati che copiano sgrammaticate poesiole altrui e le postano su Facebook nel patetico tentativo di attirare l’attenzione di qualche ragazza dal QI di una scimmia.
Se una persona, per hobby, vuole passare il tempo a investigare sulle altrui affermazioni, non è necessariamente una patologia. Certo, è un po’ da sfigati passare il tempo a leggersi cose che pure ci sembrano stronzate e poi passare ore a cercare materiale per dimostrare che sono proprio stronzate. Ma, insomma, c’è chi per divertirsi guarda i film dei Vanzina, la coprofagia ha i suoi cultori, un hobby è un hobby e ciascuno ha i propri.
Il dramma è che il debunker non lo fa per se stesso. Lo fa nel vago e grottesco dichiarato intento di “migliorare la comunicazione” eliminando – nella sua immaginazione ovviamente – le bugie e le incongruità, (ma la parola prediletta è “bufale”, così precisa, così scientifica da dare i brividi) che girano in rete.
Ovviamente non elimina proprio nulla: chi vuol credere che la terra sia piatta continua a crederlo anche con seimila video e articoli di debunkaggio professionista. E chi ci crede continua a ripeterlo, e troverà sempre chi ha voglia di crederlo a sua volta.
L’unica cosa che fa il debunker è dare modo ad altre persone di scrivere: “era ora che qualcuno sbugiardasse questi matti!” Ed ecco dunque che una pagina di debunking da singolo monumento alla sfiga diventa un vero e proprio club di poveracci che passano il tempo a darsi pacche sulle spalle a vicenda per aver finalmente sgominato quei pericolosissimi ignoranti diffusori di scemenze, sentendosi per qualche minuto un poco meno sfigati di loro.
Il debunker e i suoi seguaci ricordano in modo impressionante quei casi umani che rallentano a fianco di un incidente in autostrada per mandare a memoria tutti i dettagli che gli riesce. Potessero, si fermerebbero a farsi dei selfie e li posterebbero con la didascalia: “guarda, mamma, io non sono così coglione da andare a sbattere contro il guardrail!” Insomma: persone tanto mal messe che vedendo una disgrazia in corso, invece che umana pietà o anche solo funzionale indifferenza, avvertono l’impulso irresistibile a dimostrare che no, loro non sono ancora morti “come quei quattro coglioni lì tra le lamiere”.
Il sottotesto desolante del debunking è: “Se dimostro che lui fa proprio schifo, io sembro fare meno schifo.”
Questo livore inquisitorio, questa ansia da smarcamento, il fanatismo nel voler punire la strega ed esorcizzare il demonio è l’aspetto davvero insopportabile della tristezza del debunker – che si moltiplica esponenzialmente se si osservano i suoi seguaci. L’ansia soffocante di sentirsi dentro e al sicuro nell’ortodossia, di non smarginare nemmeno per errore, che alla fine riesce solo a garantire e garantirsi di essere delle complete nullità.
I debunker propagandano un comportamento mentale basato sul sentirsi furbi copiando informazioni che nemmeno si comprendono e facendosene paladini nel denunciare la supposta ignoranza di altre persone. Un paradigma di codardia esistenziale che trovo rivoltante. Nel modello mentale che diffondono la codardia esistenziale è regola fondamentale. Ovviamente non esiste l’opzione: “creo una regola percettiva”, in quanto nemmeno immaginabile per simili individui, ma neppure viene considerata l’opzione “modifico una regola percettiva”. Troppo complicato. Esiste *solo* l’opzione: “controllo tra le regole percettive in voga e se tu non le stai ubbidendo tutte, ti addito e invito tutti a ridere”.
Ma, invece, provare a pensare qualcosa di proprio, provare a discuterlo senza voler “vincere” su nessuno, senza sentire il bisogno di dimostrarsi “migliori” di quei terribili bufalari? Ovviamente, la domanda è retorica: se fosse capace di elaborare pensieri propri, nessuno scadrebbe mai fino a considerarsi un debunker.
Fenomeno affine al debunker è quel che viene definito “troll”. Personalmente, li inquadro appena mezzo gradino sopra i debunker nella lista delle più tristi manifestazioni di sfigaggine umana. Il motivo di questo mezzo gradino di superiorità etica è semplice: il troll, benché affetto da labirintica inutilità esistenziale, perlomeno evidenzia uno spirito goliardico di fondo, la capacità di ridere della pochezza umana con sincero, becero e semplice entusiasmo. Certo, i troll sono solo capaci di ridere degli altri e non di se stessi, ma ricordiamoci che stiamo pur sempre parlando di poveracci molto in fondo nella scala degli esseri senzienti.
Eppure i debunker riescono ad essere anche peggiori, perché perdono persino la goliardia e l’entusiasmo, riducendosi a certosini della miseria umana, cupi analisti della pochezza, tristi divulgatori della fede nell’ortodossia. Una avvilente parodia degli incubi orwelliani.
Una persona decentemente stabile sarà sempre in grado di elaborare, porre o ricevere critiche ad un dato presentato come assodato. Chi è malato di debunking, no.
C’è chi, per partito preso, sarà sempre critico o contrario a qualsiasi affermazione delle autorità costituite. Anche questa può venire considerata una patologia, ma di fatto offre sempre un vantaggio: quello di considerare versioni alternative delle “verità ufficiali”. Certo, molte parranno strampalate, ma alcune potrebbero evidenziare qualcosa di poco chiaro, qualche spazio buio delle versioni ufficiali che vale la pena approfondire.
Il debunker però non vuole affatto approfondire, vuole solo gridare la sua indignazione per la violazione della verità ufficiale. Sente il dovere profondo e assoluto di evidenziare e ribadire la rettitudine delle versioni ufficiali.
I motivi di questa patologia sono abbastanza evidenti: avendo legato la propria identità ad un sistema di credenze (che sia fiducia in una autorità politica, ideologica, scientifica, religiosa, sportiva, culturale o di qualsivoglia altro genere) percepisce ogni critica o messa in discussione delle versioni ufficiali del suo credo di riferimento come una minaccia alla propria identità esistenziale. Nel tempo, la sua stessa identità diventa quella del “paladino della verità ufficiale”, e questa funzione esautora la sua intera raffigurazione.
Nessuno stupore dunque se reagisce a qualsiasi critica con tutte le sue forze, usando e talvolta persino violando qualsiasi logica. L’esempio più frequente che tutti abbiamo incontrato è il classico debunker che per difendere la propria “verità scientifica” usa metodi antiscientifici, oppure bolla come “inaffidabili” gli studi presentati dagli interlocutori e cita studi a sua volta dando per scontato che essi invece debbano venire considerati “affidabili”.
Il dramma del debunker medio è che nemmeno si accorge che, di fatto, non gli frega niente delle “verità” che difende con tanta passione. La sua lotta riguarda solo la fragilità della propria identità percettiva. Ma, naturalmente, non è in grado di rendersene conto.
Il debunker non è in grado nemmeno di recepire una teoria innovativa come “possibile” pur di non mettere in discussione le regole cui obbedisce la sua percezione del mondo, figurarsi mettere in discussione le regole in cui vive prigioniero.
Insomma, essere un debunker è un tentativo un po’ patetico per cercare di sentirsi meno sfigati, senza in effetti farcela: la raffigurazione del fallimento esistenziale al suo culmine.
Dei molti fenomeni patologici originati dall’avvento di internet, il debuking è certamente uno dei più tristi.
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