Il Blog di Stefano Re

Comunicazione Assertiva

La comunicazione assertiva

In un mio articolo recente, in effetti una lettera aperta, ripetevo per tre volte una affermazione precisa: “lasciateci andare”. Non pochi lettori hanno interpretato questo come “chiedere il permesso” di andarsene. Eppure, così non è. L’affermazione “lasciateci andare” può essere tanto una preghiera quanto una rivendicazione. Più precisamente, nel contesto e nelle modalità di quella lettera, è chiaramente una asserzione. Questo fraintendimento mi spinge ad approfondire qui il concetto di comunicazione assertiva.

Tagliando all’osso il concetto, ogni tipo di messaggio ricade in una di queste tre categorie: aggressivo, passivo o assertivo. I messaggi possono venire suddivisi in queste tre tipologie in base al contenuto, al contesto, al tono, alla prossemica, ad altri segnali non verbali. Occorre anche specificare che, per chi mastichi almeno l’abc di metacomunicazione, va da sé che il 99,9% delle caratteristiche che definiscono la comunicazione come aggressiva, passiva o assertiva risieda nei metalivelli. Qui non mi addentrerò in questo aspetto perché non è strettamente necessario alla comprensione delle caratteristiche che distinguono le tre forme di comunicazione in oggetto.

«Farai ciò che ordino»

La comunicazione aggressiva sostanzialmente invade lo spazio vitale dell’interlocutore. Sotto il profilo dei contenuti, ad esempio, è tale una comunicazione che impone qualcosa, come un ordine o un comando. Ma è tale anche se contiene insulti o altre forme di squalificazione dell’interlocutore. Restando sui contenuti, esistono forme di “attacco” non esplicite e più sottili, come il sarcasmo, che qualificano ugualmente la comunicazione come aggressiva. Non meno importanti sono poi molti segnali non verbali, dalla distanza a cui si parla alla mobilità VS fissità dello sguardo, alla postura, movimento delle mani e via dicendo.

«Farò ciò che ordini»

Gli stessi parametri definiscono in senso opposto una comunicazione passiva o remissiva, dai contenuti compiacenti o addirittura che invitino esplicitino l’interlocutore a invadere il proprio spazio, esprimano disponibilità all’obbedienza o alla sottomissione. Di nuovo, questo può venire indicato, sottolineato e confermato tramite l’uso di un tono remissivo e compiacente e altri parametri sonori della comunicazione, e ovviamente di nuovo tramite segnali comportamentali, dall’abbassare lo sguardo o il capo all’indietreggiare, fino a posture o comportamenti esplicitamente indicanti sottomissione come inchinarsi o mettersi in ginocchio.

«Farò ciò che scelgo»

Cos’è invece la comunicazione assertiva? È quel genere di messaggio che non invade lo spazio dell’interlocutore, ma non concede all’interlocutore di invadere il proprio spazio. Ciò che fa è tracciare il confine preciso tra questi due spazi sotto ogni profilo: semantico, percettivo, funzionale o esistenziale. Sotto il profilo dei contenuti, ad esempio, la comunicazione assertiva definisce come ci comportiamo noi stessi, ma non definisce come si debbano comportare gli altri. Al massimo lo suggerisce, indica cioè come si possano comportare gli altri, spiegando magari anche le motivazioni per cui questa scelta viene ritenuta vantaggiosa o utile da chi parla.

Indicando cosa si intende fare e come si intende farlo, la comunicazione assertiva rivendica la propria autonomia e il proprio potere decisionale su se stessi e le proprie azioni. Evitando di decidere, imporre o ordinare ad altri, riconosce lo stesso potere e la medesima autonomia decisionale all’interlocutore. Questi contenuti tracciano dunque di fatto un confine preciso, propongono e di fatto avviano un processo di riconoscimento reciproco, permettono l’avvio di una “negoziazione” sulle reciproche attività e scelte.

Ad occhi bendati

Giusto due appunti metodologici: anzitutto, gli elementi che ho sottolineato sono particolarmente evidenti, ma nella maggior parte dei casi sono dettagli meno visibili a far ricadere le forme di comunicazione in una delle tre categorie, dettagli che normalmente vengono adottati senza alcuna cognizione di essi. Invero, e questo è il secondo appunto, la maggior parte delle persone non ha alcuna cognizione o controllo sulle proprie modalità comunicative. Nei fatti, questo significa che non sa né come né in effetti perché comunica come comunica. Per questo motivo si trova spesso impigliata in posizioni, scontri o derive relazionali che non desiderava avviare in primo luogo.

Molti testi di comunicazione ritengono che la comunicazione assertiva sia la premessa e la base di ogni sano scambio comunicativo. Non sono certo sia proprio così, ma certamente saperla utilizzare e riconoscere aiuta ad orientarsi ed assumere responsabilità e potere sulla propria esistenza, oltre ad evitare a chi comunica di trovarsi, senza nemmeno sapere come vi sia giunto, in situazioni spiacevoli. Come sempre, chi non riconosce le regole con cui comunica, sta sempre e irrimediabilmente ubbidendo ad esse.

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