I (para)dossi della fine
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8 Settembre 2023
A volte è dalle piccole cose, dal manifestarsi di segnali minuscoli, che riusciamo a scorgere il senso di fenomeni assai più vasti e complessi. Molte persone in questi anni restano perplesse di fronte ai fenomeni psicosociali di portata globale che riguardano la nostra specie, soprattutto quando sono sgradevoli come l’ormai evidente tendenza collettiva al suicidio obbligatorio. È del tutto comprensibile: il cervello rifiuta di vedere uno scenario tanto orribile quanto enorme. Cerca divagazioni e si fissa sui dettagli inutili e distraenti, discutendo per anni sui particolari, semplicemente per non dover accettare il quadro di insieme. Come direbbe Tyler, si lucidano le maniglie sul Titanic.
I macro fenomeni però altro non sono che espressioni di larga portata di dinamiche profonde, che emergono inevitabilmente anche in infiniti altri sintomi minori. Una costellazione di piccole manifestazioni spesso poco osservate e approfondite, eppure presenti ed evidenti. Sono segnali minuti, quasi invisibili, che racchiudono in se stessi già perfettamente raccolto, ogni aspetto del più ampio cambiamento in atto, delle sue cause motivanti, dei suoi significati e dei suoi possibili esiti.
Ecco un esempio. Certamente sapete come la scoperta della ruota sia considerata uno degli elementi fondamentali dell’avvio dell’evoluzione della nostra civiltà, insieme con altri fattori, come il fuoco o il linguaggio. Il fuoco però non l’ha inventato l’uomo: esisteva già e si manifestava spontaneamente in natura, così come le forme di comunicazione, che peraltro sono inevitabili, e dunque solo in parte frutto dell’inventiva umana.
L’invenzione della ruota invece rappresenta in modo esemplare la volontà umana di procedere spediti verso il proprio futuro evolutivo. Sotto le ruote abbiamo spianato strade, prima semplici sentieri creati dal passaggio umano, poi tracciati di terra battuta, poi percorsi coperti di ghiaia, ciottoli o piastrelle, poi strade lastricate in pietra e infine i nastri di bitume compresso, asfalto o cemento, che collegano ormai in una rete inestricabile quasi ogni angolo abitato del pianeta. Guardate bene: lo sforzo è stato sempre nella stessa, identica, direzione: rendere la possibilità di spostarsi più efficiente, più veloce, più comoda e diretta. Un percorso millenario che disegna la parabola perfetta della nostra civiltà e il raggiungimento, infine, della svolta verso la decadenza, che si manifesta in un segnale piccolo piccolo, quasi insignificante, di cui nessuno si accorge: i dossi stradali artificiali.
È vero, anche in passato alcuni snodi delle vie di comunicazione erano presidiati con postazioni di controllo che possono essere considerate ostacoli, come le dogane alle frontiere. Ma parliamo di punti di confine tra Stati o altre entità territorialmente definite, non della volontà generica o specifica di ostacolare la viabilità. C’è sempre stato chi invece creava ostacoli di proposito, ad esempio ponendo alberi o altri ostacoli di traverso sulle strade: i banditi. Quelle fazioni minoritarie di reietti della popolazione che, per profitto o per ideologia, si opponevano allo sviluppo della società. Mai prima di oggi però è stata la nostra stessa società a ostacolare deliberatamente e attivamente la viabilità.
Insomma, per millenni le nostre civiltà hanno spianato ogni ostacolo allo spostamento individuale, ma da qualche decina di anni – nelle aree più avanzate e urbanizzate – hanno iniziato a fare esattamente l’opposto: creare ostacoli artificiali lungo le nostre strade. Il motivo dichiarato è che ci spostiamo tutti troppo velocemente, con poca attenzione, dunque ponendo a rischio ad esempio l’incolumità dei pedoni o provocando incidenti. Ma questo è sempre avvenuto. In ogni epoca e in ogni contesto c’è stato di usava le strade in modo più prudente e chi in modo più spericolato, in molti modi si è tentato di controllare o perseguire chi provocasse danni ad altri, eppure mai prima l’inventiva umana si era impegnata a ostacolare attivamente la viabilità stessa, cioè invertire il processo.
Ad osservare con attenzione, in un fenomeno apparentemente insignificante come la moltiplicazione dei dossi stradali si manifestano in modo embrionale ma coerente uno per uno tutti i segni della crisi della nostra civiltà: la crescente mancanza di fiducia in noi stessi come specie e come individui; la necessità conseguente ed impellente di limitare e controllare l’individuo da parte del sistema sociale; il profondo bisogno di espiazione collettiva figlio indesiderato del raggiungimento dello stato di abbondanza e allegati sensi di colpa; la deriva verso un sistema autoritario che imponga i comportamenti “conformi” a tutti gli individui, percepiti (e auto-percepenti) come bambini capricciosi e stupidi, che vanno obbligati e comportarsi come devono, contro la propria volontà, de chi sa “il loro bene”.
Nel dosso stradale c’è tutto questo e molto altro. Esso dice che siamo tutti parimenti incapaci di limitarci, nella migliore delle ipotesi come adolescenti irresponsabili, nella peggiore come bambini ritardati. Afferma che non ci si può fidare di noi stessi. Che ogni individuo è un pericolo per se stesso e per altri. Insegna che serve un padre sociale – una autorità superiore – che ci controlli e ci punisca, persino mettendoci ostacoli davanti, per costringerci a comportarci “bene”.
La generale accettazione supina e totalmente priva di resistenza del sorgere e diffondersi di questi ostacoli stradali, di questi impedimenti offensivi tanto per le nostre vetture quanto per la nostra identità individuale, ha segnato il tempo quale precursore dall’accettazione supina di altre, esponenzialmente crescenti, offese, obblighi e impedimenti che sarebbero presto seguiti. Ogni piccolo passo prepara il terreno per un passo più grande.
I dossi stradali, nel loro piccolo, sono un segno inequivocabile di come questa civiltà sia giunta al proprio capolinea.
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